Bibliografia - Memorie scientifiche


Abbreviazioni

AAA = “Archivio per l’Alto Adige”, Firenze;

AASV = “Atti dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona”;

CT = rivista semestrale “Cimbri/Tzimbar”, Verona;

RIOn = rivista semestrale “Rivista italiana di onomastica”, Roma;

TC = rivista trimestrale “Terra cimbra”, Giazza (Verona);

VV = rivista bimestrale “Vita veronese”, Verona.


1. Cenni sui cognomi veronesi - in VV, dal n. 3-4 del 1967 al n. 3-4 del 1972.

Rassegna etimologica in ordine alfabetico dei principali cognomi veronesi; estesa su 37 numeri della rivista, ne occupa in totale 202 pp. circa. Vi sono trattati circa 5500 cognomi.


2. Nihon-go to Esukimô-go - in AASV 1971-72, pp. 613-632.

Si tratta del primo saggio in assoluto (in tutta la letteratura scientifica mondiale) in cui le lingue giapponese ed eschimese vengano ricondotte a un’unica lingua comune, con la ricostruzione dei fonemi della lingua originaria proto-nippoeschimese e la loro evoluzione nelle due lingue figlie. Per una svista, nella fase preparatoria della stampa scomparve l’originario sottotitolo, rappresentante la traduzione del titolo (che è in giapponese): Lingua giapponese e lingua eschimese.


3. Sul rapporto tra indoeuropeo e nippoeschimese - in AASV 1974-75, pp. 207-227.

Viene proposta la parentela dell’indoeuropeo col nippoeschimese (la lingua da cui sono derivati il giapponese e l’eschimese); sono contemplati 48 gruppi di radici comuni.


4. Le radici nostratiche tipo “*bat-” «inizio; fine» e la monogenesi del linguaggio - in AASV 1981-82, pp. 187-210 (Prima Parte), e 1982-83, pp. 261-290 (Seconda Parte).

Memoria nella quale si sostiene, sulla scorta di un numero imponente di comparazioni, che non solo dovette esistere nel nostratico una radice (con diverse varianti) *bat- significante «piede, correre; inizio, base, partenza; punto d’arrivo, fine, misurazione», ma che la stessa radice compare in un numero talmente alto di lingue del mondo da permettere di ricostruire una delle prime parole formulate dall’umanità.


5. Il Catazzo “cimbro” e il mondo culturale tedesco del XVIII secolo - in TC n. 49-52, 1982 (numero speciale redatto da Marcello Bondardo e G. Rapelli col titolo I piú antichi documenti di cimbro in un poeta montanaro veronese del XVIII secolo, Domenico Catazzo), pp. 23-42.

Sono delineati qui gli echi del poemetto del Catazzo nel mondo tedesco, assieme a una ricostruzione dei luoghi dove si parlava in cimbro nel 1760 e a un commento delle voci cimbre contenute nel poemetto stesso.


6. The Equivalents of the Japanese “y” in Eskimo [= «I corrispondenti della y giapponese nell’eschimese»] - in AASV 1983-84, pp. 285-315.

Si propone qui, sulla base di numerose comparazioni, la corrispondenza del fonema giapponese y con due fonemi eschimesi del tutto diversi tra di loro: in posizione iniziale al giapp. y- risponde esch. q-, in posizione intervocalica a giapp. -y- rispondono esch. -s- (-ss-, -sh- ecc.) o -y- (-dy-). Tali leggi fonetiche sono corroborate dai riflessi in altre lingue nostratiche.


7. Sullo strano “impsindungh” attribuito al Catazzo - in TC n. 62, 1985, pp. 18-24.

È dimostrato qui che l’incomprensibile parola impsindungh che riporta il Catazzo in un suo poemetto del 1765 è frutto della svista di un Tedesco contemporaneo che lesse (o compose) male ciò che l’autore aveva scritto; si tratta in realtà di impfindung, significante «visita». Lo strano termine ha tratto in inganno tutti gli studiosi che da allora a oggi ne hanno discusso.


8. Sul dizionario veronese-italiano di Gino Beltramini ed Elisabetta Donati - in “Civiltà veronese” n. 6, 1986, pp. 95-135.

Raccolta di voci mancanti nel Piccolo dizionario veronese-italiano dei Beltramini-Donati (1963), assieme a voci il cui significato era incompleto o inesatto; si tratta di circa 500 lessemi. Nella parte introduttiva (pp. 95-97) v’è un commento all’opera dei due autori, ritenuta poco scientifica per i numerosi refusi e per la generale imprecisione.


     «Nel redigere queste note sono riandato spesso a coloro con cui nello spazio di tanti anni ho discorso nel comune dialetto, apprendendo tante cose: idealmente mi sono sfilati davanti uomini e donne di varia condizione e di varie età, coi quali ho condiviso una chiacchierata, una bevuta, una gita, una partita a carte, oppure difficoltà materiali e spirituali, speranze, momenti lieti, dispiaceri. In queste note quelle persone rivivono; e rivivono del pari le loro emozioni, la loro ironia, la loro bonarietà, i loro difetti — in parole povere, il loro mondo. Questo sia anche un omaggio a loro; in modo particolare, sia un omaggio a coloro che a malapena sapevano leggere e scrivere, un’umanità considerata spesso, a torto, minore. Anche da questi ultimi ho imparato molto. Da soli, essi non avrebbero mai potuto lasciare un ricordo scritto della parlata avita; sono lieto che ciò diventi possibile per mio tramite.»

(da Sul dizionario veronese-italiano di G. Beltramini ed E. Donati, pp. 97)


9. La storiografia “cimbra” veronese: analisi critica - “Atti del Convegno ‘700 anni di storia “cimbra” veronese’ tenuto a Tregnago il 14 novembre 1987”, pubblicati nel numero speciale 66-67 di TC, 1987, pp. 195-208.

Si tratta del primo saggio mai redatto sulla storiografia dei XIII Comuni. Tra l’altro, Rapelli muove qui una critica all’opera di Carlo Cipolla del 1882 (Le popolazioni dei XIII Comuni Veronesi; pp. 200-202) per i troppi refusi.


10. Indizi sulla provenienza geografica dei Cimbri offerti dall’onomastica e dalla toponomastica - in AASV 1987-88, pp. 309-334.

Memoria tesa a individuare i punti geografici dai quali provennero i Cimbri. Sono esaminati 53 tra nomi, cognomi e toponimi cimbri (suddivisi nelle tre zone “Area dei XIII Comuni”, “Area ‘grigia’ tra i XIII e i Sette Comuni [o Vicentino occidentale]”, “Aree trentine”); Rapelli conclude concordando nell’insieme col Kranzmayer, con la differenza che per lui l’Alto Adige dovette avere un ruolo piú importante di quanto non si pensasse, e che almeno un indizio accenna a provenienza dal Pinzgau.


11. The Eskimo Morphology and the Genetic Relationship of Eskimo [= «La morfologia eschimese e la parentela genetica dell’eschimese»] - in AASV 1988-89, pp. 351-389.

È uno studio sulla peculiare morfologia dell’eschimese e ciò che se ne può ricavare sull’origine della lingua. Per Rapelli risulta provata l’appartenenza dell’eschimese al gruppo nostratico, nell’ambito del quale i maggiori legami si riscontrano nel giapponese, e subito dopo nell’indoeuropeo. A pag. 385 v’è una cartina delle lingue nostratiche secondo Rapelli.


12. Carteggio in lingua cimbra tra Francesco e Carlo Cipolla - in AASV 1990-91, pp. 333-348.

Sono riportate dieci tra lettere e cartoline che si scambiarono i due fratelli nel periodo 1880-1883: nove di Francesco a Carlo, una di Carlo a Francesco. (Sono comprese qui le quattro cartoline di cui al § 30 di “Articoli”.) Segue un commento filologico e linguistico.


13. Alcune considerazioni sui Reti e sulla loro lingua - in AASV 1992-93, pp. 433-469.

È il saggio piú completo apparso finora sulla lingua dei Reti, con molte considerazioni sulla formazione di questo popolo (che per Rapelli deriva dalla mescolanza tra gruppi di proto-Etruschi, percorrenti le vallate alpine alla ricerca di minerali e metalli, e indigeni euganei).


«In conclusione, nonostante la sconfortante scarsità dei documenti retici non credo si possa sfuggire alla constatazione che molti elementi della lingua e della toponomastica retiche si ricollegano all’etrusco. È pur vero, d’altra parte, che altrettanti elementi — forse la maggioranza — appaiono estranei all’etrusco; il quadro che si delinea è quello tipico di una lingua mista, suddivisa come sembra in vari dialetti affini. Tale lingua nacque dall’incontro di due o piú linguaggi, il proto-etrusco e parlate indigene che possiamo dire “euganee” per comodità di definizione.

L’elemento etnico introdotto dai Villanoviani sciamati via via nella Valdadige a partire da Felsina non fu tanto numeroso da soverchiare la popolazione locale, del resto anch’essa rada. Si ebbe cosí una graduale fusione tra proto-etrusco ed euganeo, con possibili apporti qua e là di residui di idiomi alpini preesistenti agli Euganei stessi o comunque non euganei. La fusione dovette avvenire su un lungo arco di tempo — almeno tre secoli — precedente la colonizzazione etrusca vera e propria della fine del VI secolo; i Proto-Etruschi stanziatisi nella Valdadige, privi di contatti frequenti con la madrepatria e attorniati da un popolo piú numeroso, finirono con l’accettare essenzialmente la cultura di quest’ultimo (pantheon, nomi personali, vocaboli, parte della morfologia, ecc.). Da qui derivò la constatazione romana dell’imbarbarimento degli Etruschi nella Valdadige.»

(da Alcune considerazioni sui Reti e sulla loro lingua, pp. 466)


14. La “f” veronese derivata da una fricativa interdentale - in AASV 1993-94, pp. 143-154.

Memoria che intende richiamare l’attenzione su un curioso fatto fonetico del Veronese; l’alternanza tra i suoni f ed s (cfr. bifa/bissa «biscia, serpe»), e la sua relazione con la fricativa interdentale th (presente p. es. in Lessinia).


15. La dissoluzione dell’identità cimbra - in CT n. 11, 1994 (numero speciale, con la testata “Cimbri Speciale”), pp. 55-80.

Saggio che intende delineare le principali tappe dell’assorbimento dei Cimbri (di tutte le isole) da parte dei vicini Veneti e Trentini.


16. Appendice a “La dissoluzione dell’identità cimbra” - in CT n. 12, 1994, pp. 131-133.

Nuovi dati (a integrazione del saggio qui riportato col § 15) sulle condizioni della parlata cimbra nella Folgaria, a Recoaro e a Gallio.


17. Tracce di un’alternanza “f/s” nell’etrusco e nel retico – in AASV 1996-97, pp. 243-254.

L’autore intende dimostrare qui che alcune voci tanto dell’etrusco quanto del retico mostrano di risalire a una radice comune pur presentando quale iniziale o la consonante f o la consonante s. L’ipotesi è basata sulla possibile affinità di voci quali p. es. retico Fersina e Serso (toponimi), latino sors e fors, fur e sorex, sentina e fundus, ecc. Il fonema originario fu probabilmente f. Il latino è interessato da questa legge fonetica per le numerose parole in esso penetrate dall’etrusco.


18. Veneto scaranto e latino grandis: comune origine etrusca? – in AASV 1999-2000, pp. 295-307.

Memoria presentata il 29 settembre 2000. È proposta qui la probabile comune origine di voci quali il veneto scaranto (e caranto) «macigno» e il latino grandis «grande» e glans «glande» da un termine etrusco, ricostruito come *crant con la variante *clant, significante «cosa grossa, grosso macigno». Il termine etrusco, poi, è sorprendentemente affine all’ittito halanta «testa»; Rapelli fa notare (alle pp. 305-7) come tra etrusco e ittito vi siano, con questa, tre voci sicuramente affini, quali che siano le conclusioni da trarne.


19. Cenni sull’elemento etnico altoatesino nelle colonie cimbre - in AA. VV., Studi in memoria di Giulia Caterina Mastrelli Anzilotti (AAA, vol. XCIII-XCIV, 1999-2000), Firenze 2001, pp. 393-403.

Sono esaminati qui 43 cognomi delle isole cimbre che trovano un corrispondente fonetico in nomi o cognomi dell’Alto Adige. Scopo del piccolo saggio è dimostrare che molti coloni cimbri provennero da quella zona, avendo a mente che due coloni chiamati a Badia Calavena nel 1333 sono espressamente detti qui fuit de Venoste, «che fu della Val Venosta».


20. La lingua veneta e i suoi dialetti – in Veneti nel mondo 2001: Concorso Letterario Internazionale in Lingua Veneta “Mario Donadoni”, Comune di Bovolone, Bovolone (Verona) 2001, pp. 7-12.

Un saggio su che cosa si intenda per “lingua veneta”. Viene data la posizione del veneto nell’ambito delle parlate della penisola; seguono l’elencazione dei vari dialetti veneti, un breve testo esemplificativo in 4 versioni (veneziano, rodigino, veronese, feltrino), una breve storia dell’evoluzione dal latino al veneto, l’apporto dato dal veneto alla lingua ufficiale dell’Italia, i prestiti veneti in varie lingue del Mediterraneo e altrove, le propaggini del veneto nelle due Americhe.


  La voce etrusca e retica *peruna «roccia, parete rocciosa, lastra di pietra» - in AASV 1997-98, pp. 225-242: vedi sopra “Volumi”, § 12.


21. Pergine: una nuova ipotesi etimologica - in AAA, vol. XCVI, 2002, pp. 153-157.

Viene proposta qui la derivazione di Pergine da un’antica voce etrusca *Perisne, di significato ignoto, ricostruibile in base a un’iscrizione retica di Settequerce (dove compare il probabile etnonimo perisnati).


22. Su alcuni toponimi problematici della Lessinia - in Lessinia: territorio e cultura, a cura di Piero Piazzola e Giuseppe Rama, Curatorium Cimbricum Veronense, Verona 2002, pp. 53-64.

Sono discussi qui i seguenti toponimi: Corno d’Aquílio (secondo l’autore dal ver. aguéjo «pungiglione»), Monti Lessíni (di significato oscuro, probabilmente da una denominazione retica o euganea), Frizzolana (dal lat. forojuliana, probabilmente nel senso di «appartenente a Valfredo marchese del Friuli»), Calavézzo e Calavéna (da una voce retica *kalàve «spino»).


23. Intorno all’etimologia di “folenda” – in CT n. 30, 2003, pp. 141-145.

Saggio in cui viene proposto un nuovo etimo per la voce lessinica folénda «pietra focaia»: la voce rifletterebbe il ted. seicentesco Flinte «fucile con otturatore a pietra», utilizzata però con ogni probabilità nel senso di «pietra focaia».


24. Sulla componente caucasica dell’etrusco – in AASV 2002-2003, pp. 301-317.

La memoria si ricollega a un saggio scritto dai linguisti russi Vladimir Orel e Sergei Starostin nel 1988, nel quale essi propongono la derivazione dell’etrusco dal caucasico orientale sulla base di 59 corrispondenze. Rapelli contesta parte di tali corrispondenze, ma non l’idea generale di una derivazione dal complesso caucasico. Egli evidenzia qui una dozzina di morfemi etruschi identici a morfemi di lingue caucasiche settentrionali, uno solo dei quali compare nel saggio di Orel - Starostin (la congiunzione -c «e»); tra questi, assai importante il suffisso di plurale -cva.


«Posto che i Tirreni dovevano risiedere nella Troade, è mia opinione che al momento della loro dipartita essi formassero un popolo dalle origini miste. Il loro doveva essere uno dei tanti piccoli popoli che risiedevano lungo le coste occidentali dell’Anatolia. Secondo la tradizione riportata da Erodoto, i Tirreni si consideravano Lidi; una tradizione considerata da molti studiosi come fantasiosa. In effetti, l’etrusco non è certo la stessa cosa del lidio, per quanto sappiamo di quest’ultima lingua; però non si è tenuto conto del fatto che l’appartenenza alla Lidia poteva ben essere di carattere puramente politico, o amministrativo. I Tirreni dovevano sentirsi sudditi dell’impero lidio soltanto perché inseriti in esso, non perché facessero parte della “nazione” lidia vera e propria. Analogamente, gli abitanti della Corsica sono considerati francesi, anche se sono propriamente di nazione italiana, e gli abitanti di Vipiteno o di Pulfero vengono naturalmente inclusi tra gli Italiani benché dal punto di vista etnico essi siano nella maggior parte, rispettivamente, Tedeschi e Sloveni.

       «Lo strato piú antico dei Tirreni doveva essere costituito da una popolazione di tipo caucasico, irradiatasi dalla zona del Caucaso in Anatolia vari millenni prima di Cristo. Su questa popolazione si sovrappose un altro popolo, proveniente probabilmente dalla penisola balcanica, la cui lingua era di tipo proto-indoeuropeo. Questo è un punto cruciale della storia dei Tirreni. I numerosi punti di contatto con le lingue indoeuropee, infatti, non sono spiegabili, a mio parere, con l’indoeuropeo comune cosí come esso viene abitualmente ricostruito. Credo, pertanto, che l’elemento etnico affine agli Indoeuropei rilevabile nei Tirreni appartenesse a un’ondata precedente la diaspora indoeuropea; diaspora che è collocabile al periodo 2300-2000 a.C. In altre parole, gli Indoeuropei non furono che l’ultima di una serie di ondate di popoli staccatisi dallo stesso filone etnico, da localizzare probabilmente nelle pianure ucraine.»

(da Sulla componente caucasica dell’etrusco, pp. 312-313)


25. Intorno all’etimo di Fursíl – in “Corona Alpium” II (Miscellanea di studi in onore di Carlo Alberto Mastrelli), Istituto di studi per l’Alto Adige, Firenze 2003, pp. 441-447.

Il nome del Monte Fursíl presso Livinallongo è stato derivato da una voce paleoveneta, non attestata, *fersu «ferro»; questo studio ripropone tale etimo con maggiori particolari, assegnando però il nome del monte al sostrato retico.


26. Sull’etimologia di Oppeano e del Monte Loffa – in AAA, voll. XCVII-XCVIII, 2003-2004, pp. 571-577.

Si propone alla base dei due toponimi veronesi, e della località bergamasca Leffe, una voce retica attestata come inlaupet (con alcune varianti). In effetti, tutt’e tre i toponimi presentavano in origine un dittongo: Eupedanum, Leupha, Leufo.


27. L’influsso del dialetto veronese sul cimbro dei XIII Comuni – in CT 33, 2005, pp. 51-62.

Saggio presentato al Convegno (a cura dell’UNESCO) “I Cimbri, un territorio da salvare – Verona, 27-28 febbr. 2004”. Sono dati qui numerosi esempi di quanto il cimbro tredicicomunigiano sia permeato di voci e di forme sintattiche veronesi.


28. Valpantena presso Verona, toponimo retico – in AAA, vol. XCIX-C, 2005-2006, pp. 331-335.

È proposta qui la derivazione di Panténa da un nome personale retico *Palténa, a sua volta da una voce etrusca significante probabilmente «dalle spalle larghe». La voce etrusca proverrebbe dalla stessa radice del lat. balteus (voce pure di origine etrusca), una radice che trova un indubbio parallelo, per l’autore, nell’ittito.


29. Per una rivisitazione della toponomastica pre-romana del Veronese – “Atti del XXII Congresso Internazionale di Scienze Onomastiche, Pisa 28 agosto - 4 settembre 2005” vol. I, Edizioni ETS, Pisa 2007 (atti pubblicati in “Nominatio - Collana di Studi Onomastici fondata da Maria Giovanna Arcamone”), pp. 765-780.

Memoria presentata il 2 sett. 2005. Viene proposta qui una revisione della toponomastica pre-romana del Veronese; l’autore offre nuove etimologie e nuovi toponimi pre-romani, proponendosi di dimostrare che il sostrato retico fu piú importante di quanto finora immaginato.


«In questa sede, desidero proporre una visione “nuova” della toponomastica veronese, fondata sull’ipotesi che l’elemento retico sia stato nel Veronese piú consistente di quanto si immaginasse in precedenza. Del resto, si sapeva che ben quattro autori romani trattano dei vini veronesi qualificandoli come “vini retici”, che nel territorio veronese sono state trovate almeno una quindicina di iscrizioni retiche (benché nella maggioranza si tratti di brevissimi testi), e che un’iscrizione della Valpolicella menziona un pontifex sacrorum Raeticorum — sacerdote forse non solo del “pago” vapolicellese, ma anche della non molto lontana Verona. Se le attribuzioni ai Reti che io propongo si riveleranno esatte, dovremo concludere che la colonizzazione proto-etrusca abbia interessato una porzione veramente consistente del Veronese (tenuto presente che nel primo millennio a.C. buona parte della Bassa era spopolata, perché paludosa o sterile). In questo contesto, un particolare interesse rivestono Oppeano e l’idronimo Tartaro: ove fosse accertato che si tratta di toponimi retici, avremmo in essi le attestazioni piú meridionali in Italia della presenza dei Reti.»

(da Per una rivisitazione della toponomastica pre-romana nel Veronese, pp. 778-779)


30. La caduta nell’etrusco dell’aspirata iniziale “ch” davanti a “l” – in AASV 2005-2007, pp. 343-351.

Memoria presentata il 5 giugno 2007. Vi si propone la caduta occasionale dell’aspirata etrusca ch prima delle liquide l ed r; questo fenomeno permette all’autore di derivare Roma da un etr. *chruma « turgore, gonfiore = petto di animali » (riferito al Palatino), connesso anche al lat. grumus « rialzo, collinetta ». (La nuova etimologia di Roma ricomparve, poi, nell’articolo qui col § 65.) Questa legge fonetica permette di spiegare vari vocaboli e toponimi del mondo che già fu etrusco.


31. La storia di Verona – dispense per l’Università della Terza Età e dell’Educazione Permanente di Verona, previste per i corsi 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011.

Si tratta di dispense mai pubblicate da un editore, che vennero distribuite ai partecipanti al corso di “Storia di Verona”. Esse consistevano di testi corredati spesso di cartine e foto di monumenti e palazzi, per un totale di 135 pagine; in un primo tempo furono distribuite ai partecipanti delle Università della Terza Età di Villafranca (dal 1988 al 1996) e di Valeggio (dal 1996 al 2005).

Sono suddivise nelle seguenti “puntate”: 1) Verona prima dei Romani; 2) Verona sotto i Romani; 3) L’arrivo e la diffusione del cristianesimo; 4) Le invasioni barbariche; 5) Il Mille; 6) I rapporti di Verona con l’Impero; 7) La nascita del Comune; 8) Le Crociate - La fondazione di Villafranca e del Palù - Comparsa dei primi cognomi; 9) Il periodo scaligero; 10) La monetazione veronese - L’arrivo dei Cimbri e la loro diffusione; 11) Il periodo visconteo - Il periodo carrarese - La “Dedizione” a Venezia; 12) Il Quattrocento; 13) La dominazione imperiale, 1509-16 - Nuove fortificazioni veneziane; 14) Il Cinquecento; 15) Il Seicento; 16) Il Settecento; 17) I contraccolpi della Rivoluzione Francese - Napoleone; 18) La dominazione austriaca; 19) Il Risorgimento; 20) Il primo venticinquennio dopo l’unione all’Italia - Crisi economica ed emigrazione; 21) Fine Ottocento - Inizi del Novecento; 22) Il periodo della Grande Guerra; 23) Dalla prima alla seconda guerra mondiale; 24) La seconda guerra mondiale e la Ricostruzione.


32. L’etimologia del latino “amare” – in “Senecio”, dal 2 gennaio 2010..

L’etimo del lat. amare e affini è ricondotto a una radice etrusca non attestata, ma che dovette esistere come conferma l’ittito ham-enk «legare, unire». Un certo numero di voci etrusche trova un collegamento (per l’autore, indubitabile) con l’ittito, nel quale l’h iniziale è rara e appare dovuta ad aggiunta tardiva: la radice ittita originaria dovette, quindi, essere *am-, e dal concetto di unire si passa agevolmente a quello di amare.


33. Note sulla slavizzazione dell’Istria e della Dalmazia – in “Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno” XLII, Rovigno-Trieste 2012, pp. 51-69.

L’autore trova una similitudine tra la slavizzazione della popolazione neolatina dell’Istria, della Liburnia e della Dalmazia e la tedeschizzazione della popolazione neolatina presente nel Medioevo nell’Alto Adige. L’autore sostiene che il toponimo Fiume (liburnico Flum) sia anteriore alla forma croata Rijeka, e che i toponimi contenenti la consonante f possono solo essere neolatini. Vengono riportati vari esempi di parlata dalmatica che dimostrano come fino al Trecento inoltrato non si fosse ancora manifestato l’influsso del veneziano.


34. Appunti etimologici sul toponimo Zadar – in “Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno” XLIII, Rovigno-Trieste 2013, pp. 483-493.

Il saggio propone la nascita del toponimo croato Zadar (= Zara) nei decenni successivi al 1409, ossia dopo la venezianizzazione della città. Zara era detta Jadera dai Liburni che la abitavano prima della conquista romana, per cui se essa fosse stata familiare ai Croati già nei primi secoli del loro arrivo sulle coste prospicienti sarebbe stata denominata *Jadar, non Zadar.